Anche il modo di pagare, forse, non sarà più lo stesso
Il commercio, per come lo conosciamo, è in crisi. Ma crisi non significa inevitabilmente che il futuro con il quale dovremo fare i conti sarà con certezza peggiore di quanto abbiamo vissuto fino ad adesso, le crisi infatti sotto molti punti di vista non sono altro che veri e propri acceleratori di processi che già stavano avvenendo sotto i nostri occhi ma che ora più che mai procedono ad una velocità incredibile.
Un esempio lampante di accelerazione di ciò che si stava trasformando con lentezza è dato dal repentino cambio nell’utilizzo del denaro contante. Non c’è bisogno di ricordare come i pagamenti elettronici, dal bancomat a sistemi quali Paypal o Stripe, abbiano in questi ultimi vent’anni rivoluzionato il concetto di pagamento, portando nella quotidianità di ognuno di noi transazioni virtuali e non tangibili, modelli che fino a meno di mezzo secolo fa sarebbero stati considerati impensabili ai più. L’Italia, seppure si configuri come uno fra i sette Paesi più industrializzati al mondo, resta uno dei più grandi utilizzatori di denaro contante, posizionandosi in Europa Occidentale fra le primissime posizioni sia per possesso pro capite che per spesa media annuale.
Il Coronavirus, tuttavia, sembrerebbe avere cambiato le abitudini di chi acquista, accelerando la transizione verso i pagamenti virtuali: il 75% degli acquisti online, secondo Netcomm (che associa le principali aziende di commercio online), sono stati fatti durante il periodo della quarantena da utenti che mai avevano comprato sul web.
Ovviamente gli acquisti online sono stati per tutto il lockdown l’unico modo per poter usufruire di beni e servizi non di prima necessità, ma come sarà il nostro rapporto con il contante adesso, nella fase in cui sembrerebbe di poter tornare (per quanto possibile) alla normalità?
Il rischio igienico relativo all’uso di denaro contante. Secondo l’Oms il rischio di essere contagiato dal denaro contante è basso, questo va detto prima di qualsiasi considerazione in merito. Tuttavia è doveroso sottolineare come il pericolo non sia zero, considerando soprattutto che le persone che stanno alla cassa degli esercizi commerciali sono esposte ai clienti e al loro contante praticamente per tutto il turno di lavoro e questo è un fattore di cui bisogna sicuramente tenere conto nelle prossime fasi di rientro.
C’è poi un aspetto psicologico, non meno importante, che sicuramente influenzerà tanti dei nostri cambiamenti nei prossimi mesi e a cui è necessario fare fronte. Se da una parte, infatti, il denaro rappresenta solo in parte una minaccia, dall’altra è percepito dall’utenza come l’unico ponte fisico esistente con l’altro e per questo potrebbe essere attraversato da un’ondata di crescente diffidenza.
In Cina, ad esempio, da gennaio alcuni istituti bancari hanno messo a punto veri e propri processi di sterilizzazione per i tagli di banconote e monete, mentre negli Stati Uniti alcune banche hanno imposto veri e propri “periodi di quarantena” per il denaro proveniente dai mercati asiatici. Due esempi di come la paura si configuri come motore in grado di rivoluzionare in pochissimo tempo ciò che per secoli è stato saldamente sedimentato nella nostra routine.
Non solo le banconote. Che quello per il denaro sia un timore fondato o meno, è un problema dunque relativo, è un qualcosa che c’è e, come ripetuto, cambierà il nostro modo di interagire. C’è anche da dire che lo scambio di banconote (ma a dire il vero qualsiasi pagamento, anche con bancomat) impone alle parti di avvicinarsi per toccare lo stesso oggetto e in qualche modo infrangere il raggio di sicurezza di un metro e mezzo necessario per sentirsi più al sicuro.
Non è dunque solo una questione di presenza di virus e batteri sulla carta o sul metallo a preoccupare clienti e commercianti, quanto l’insieme delle azioni percepite come un superamento stesso delle distanze di sicurezza.
La fine del contante? Troppo presto per parlare di fine del cash, anzi probabilmente si può con una certa cautela affermare che non smetteremo mai di usare denaro contante per i nostri acquisti. Il mondo non sarà più come prima, è vero, ma nessuna rivoluzione distrugge alcuna abitudine, piuttosto le modifica.
Oggi supermercati e farmacie, due settori che hanno imparato a convivere con il Coronavirus sin dall’inizio e per tutta la durata del picco, si sono attrezzati e hanno creato veri e propri modelli che verosimilmente verranno adottati anche da altri operatori a diretto contatto con il consumatore.
Una delle soluzioni che stanno prendendo piede in molte realtà commerciali è l’utilizzo delle casse automatiche.
Casse automatiche: come risolvere il problema del contante sotto diversi punti di vista - Le casse automatiche sono vere e proprie casseforti, installate in aree dedicate (banconi o barriere dei supermarket) che permettono di pagare con denaro contante o carte di credito senza mai interagire con operatori nello scambio di denaro. Le casse automatiche ricevono il pagamento in qualunque taglio direttamente dal cliente e verificano la validità delle banconote, erogano il resto esatto con estrema rapidità e senza alcun intervento dell’addetto alla cassa.
La protezione degli operatori - che possono così stare a più di due metri di distanza - è perfettamente garantita e l’impressione, dal lato del cliente, è quella di un’operazione eseguita con il massimo della cautela.
Le casse automatiche sono tuttavia molto di più che scatole di metallo: alla base dei più moderni sistemi di payment management, come Cash Pay di Cash Box Solutions (la divisione dedicata alle casseforti intelligenti di G4 Vigilanza), vi è un potente software residente, in grado di interfacciarsi con tutti i sistemi gestionali delle Banche, permettendo l’accesso remoto allo stato di cassa istantaneo e storico (anche da smartphone grazie ad una App dedicata). L’analisi delle informazioni memorizzate permette di evidenziare anomalie di natura statisticha e comportamentale, in modo da pianificare, ad esempio, il numero di casse aperte per fasce orarie e per giorno settimanale, mettere in atto strategie per determinare l’afflusso dei clienti, impedire ammanchi e tentativi di sottrazione fraudolenta da parte del personale, e molto altro.
L’adozione di queste misure si configurerebbe dunque non solo come un argine alla paura ma come un vero e proprio investimento in sviluppo del proprio business. Ovvero come accelerazione.
La capacità di adattamento è la chiave per uscirne. La storia dell’Umanità, e al dire il vero tutta la vita sul Pianeta Terra, è stata una costante lotta per la sopravvivenza. Le epidemie, seppur sembra forte da dire, sono sempre state una costante che abbiamo dovuto affrontare al meglio. Adattarsi non è un dramma, adattarsi è cogliere le opportunità anche nei momenti più bui e cambiare il proprio comportamento per aumentare le possibilità di farcela. Non è né la fine né l’inizio di qualcosa, siamo come sempre sulla soglia del processo storico che oggi come sempre ci chiede di cambiare, seppur più velocemente di quanto non fossimo stati abituati sino ad ora.
Se cominciassimo a guardare la crisi in fondo, sicuramente, ci troveremmo delle opportunità.